In viaggio nelle emozioni alla ricerca dei nostri talenti

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Per Platone, lo scopo della vita umana è scoprire i propri talenti e riuscire a realizzarli, perché il talento è come l’anima, è invisibile agli occhi. L’anima sceglie una strada per raggiungere la sua meta ma alla nascita si dimentica della destinazione e ogni giorno prende forma grazie al contatto con nuove scoperte.

Quale era il significato di talento nel passato? Nel mondo greco indicava una bilancia destinata a pesare il denaro associato ad un bene comune oggetto di scambio: maggiore era il peso più alto era il valore associato al denaro fino ad associarlo al valore del talento.

L’Inclinazione ottenuta dalla rilevazione del peso rappresenta la propensione dell’individuo verso la propria abilità innata, che si differenzia da individuo a individuo e che trova la sua vera identità quando è in grado di esprimersi in tutta la sua pienezza.

Il contesto, la mancanza di un habitat naturale e favorevole, limita l’azione del talento ampliandone o riducendone la portata alla sola parte visibile rinunciando completamente a esporre la sua parte invisibile.

Spesso rimane sommerso sotto la linea di galleggiamento del mare senza dare segno e prova di sé. Servirebbe imprimere una spinta verticale dal basso verso l’alto maggiore (Archimede direbbe pari) del peso del liquido spostato, per farla emergere e renderla disponibile all’organizzazione.

Impiegare l’immagine dell’iceberg per rappresentare il talento conduce la mente delle persone a valutare la dimensione dell’abilità che è tenuta nascosta e al riparo dalla luce del sole. Il dipendente esibisce la prestazione professionale sulla base della percezione retributiva e utilizza la leva economica per allargare, o restringere, l’orizzonte del talento da mostrare nella organizzazione.

La perdita economica associata al mancato impiego del talento pone l’azienda nella condizione di esporsi al mondo esterno alla ricerca di soluzioni alternative. I costi aumentano a dismisura riducendo la disponibilità di risorse finanziarie utili da destinare a presenti e futuri investimenti.

La dote sommersa non riesce ad affiorare in superficie grazie alla sola spinta promossa dal welfare aziendale, riconosciuta da molti, come l’unico strumento per entrare in contatto e disporre del talento dei dipendenti, in quanto essere riconosciuto un mero strumento per soddisfare i bisogni saturabili rispetto ai desideri di crescere nella cultura e nei valori etici e morali.

Bisogna agire sul clima, sul modello organizzativo e ponendo la persona al centro creando al proprio interno luoghi di lavoro felicitanti. La mancata adozione di questi semplici strumenti non permetterà in nessun modo di accedere al talento di ogni singolo individuo. Quando alla parola talento viene associato l’aggettivo “emotivo” nasce una coppia di termini in grado di impreziosire l’attitudine a valorizzare l’agire dell’uomo.

Lo spirito si arricchisce della dimensione emotiva grazie al flusso di energia messa in campo dalla motivazione che spinge l’uomo al fare facendolo uscire dalla zona di comfort, togliendo la possibilità di sconfinare nell’oltre.

Il talento emerge quando interviene l’emozione che limita l’apporto della razionalità accompagnando l’uomo ad essere sé stesso, senza maschera, facendo emergere la sua vera identità, personale, professionale e sociale.

Dobbiamo fare emergere il talento emotivo ed evitare che l’abilità non rimanga sommersa, come il ghiaccio di un iceberg, fornendo solo la dimensione ritenuta sufficiente dall’uomo per mantenere in vita il sistema delle relazioni sociali aziendali.

“La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione.” Seneca

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giornalista, saggista, docente e consulente aziendale

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